“Le Dolomiti Bellunesi” estate 2017 – anno 38 n.78

Guardare alla sostanza

Rapidità e sicurezza. Queste, a voler sintetizzare al massimo il concetto, le considerazioni che hanno sempre presieduto alle decisioni circa le scelte dei tracciati delle vie di comunicazione.

Ragioni che si possono valutare e apprezzare già presso i Romani che, su di una rete viaria efficiente, avevano costruito (e mantenuto) l’impero. Di passaggio, si può anche registrare come le scelte operate dagli ingegneri romani siano state – successivamente – adottate in maniera sistematica da chi ha avuto l’incarico di progettare assi viari.

Questa considerazione origina dalle prese di posizione che si sono manifestate all’indomani dell’ufficializzazione, da parte della Regione Veneto, della volontà di esplorare la fattibilità dello sbocco a nord della ferrovia. Uno sbocco che, sommato a quello ipotizzato verso la Valsugana, rappresenterebbe un forte impulso per la crescita economica, turistica, sociale dell’intero territorio provinciale. Oltre a rappresentare un aiuto per contrastare lo spopolamento delle aree montane. Insomma: una boccata d’ossigeno destinata a durare nel tempo.

Gli interventi sul tema, però, hanno rapidamente debordato dal tema centrale. E dall’atteso esame costi/benefici; dalla valutazione di come sfruttare al meglio questa opportunità per avviare attività connesse (è appena il caso di ricordare quale sia l’impatto mediatico che il trasporto su rotaia porta con sé), si è rapidamente passati al “sì, ma nel mio territorio”. Curiosa rivisitazione del celebre “non nel mio giardino”, caro ai negazionisti di professione.

Ora, purtroppo, la storia di questa nostra terra è piena di occasioni perdute come conseguenza di un malinteso senso di appartenenza. Quella che, più propriamente, si chiama ‘cultura del campanile’. Ecco, è sicuramente giunto il momento di archiviare definitivamente questa cultura. Tra l’altro, bisognerà tenere ben presente che – almeno per un non irrilevante periodo di tempo (da misurare in lustri e decenni, non in anni o mesi) – le risorse per investimenti strutturali, come un tracciato ferroviario, non abbonderanno. Anzi.

Materia di dibattito, quindi, dovrà essere – da una parte – dove costruire, tenendo conto dell’impatto che il tracciato avrà sulla nostra montagna, e, dall’altra, l’apporto che ne deriverà quanto a velocizzazione degli scambi di persone e merci. Non basare il confronto su questi aspetti significa, nella migliore delle ipotesi, proporre un ragionamento parziale, parzialissimo. Ed esporsi a rischi la cui portata può essere intuita se solo si fa riferimento ai tentativi (sempre perdenti, peraltro) di ignorare le leggi e le esigenze del territorio. Quello montano, in particolare.

E allora, ecco che tornano i concetti iniziali – rapidità e sicurezza – così semplici e lineari da rischiare l’oblio. Fino alla prossima tragedia.

Silvano Cavallet

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