LE RIVISTE DI MONTAGNA DELLE ALPI ORIENTALI
da sensori del territorio a sensori delle culture
di Armando Scandellari, redattore capo de “Le Alpi Venete”
Senza ghirigori mi capitombolo all’interno dell’assunto affidatomi. Confesso che allorché mi giunse fra le mani il volume degli Atti della Conferenza internazionale del 1996, curata dalla Fondazione G. Angelini, quell’occhiello di copertina “Mes Alpes à moi” mi colpì. Per la sua fisica soggettività. Forse, sul momento, avrei preferito un più partecipativo “à nous”. Ma poi, riflettendoci, mi convinsi che per chi è storicamente presente sul territorio acquisire una così radicata coscienza di sé significa, oltre tutto, rendersi conto del dovere del proprio impegno e dell’essenza della propria fedeltà al territorio. E la fedeltà, si sa, esige una corrispondenza inalterabile.
Però nel rapporto uomo – montagna, a partire dall’800, si è coagulato un movimento fondato su un altro modello di fedeltà puramente elettiva. Quella cioè di chi, non potendo vantare diritti naturali, per idealizzazione e tendenziale affettività verso la montagna, se ne sente in qualche modo parte. Non l’alpigiano dunque, ma quel bizzarro bipede autodefinitosi alpinista. L’importante è che della sua orofilia ne percepisca la dimensione interiore.
Si è così giunti alla confluenza di due modi di essere: quello della civiltà alpigiana e quello della cultura alpinistica. Nulla vieta che entrambe possano camminare sullo stesso sentiero, sia pure con schematizzazioni in parte analoghe e in parte affini.
A dir il vero, questo auspicabile connubio agli albori dell’alpinismo non c’è stato. Troppi steccati mentali. Troppa topografia letteraria. Ogni epoca ha purtroppo la sua sintassi celebrativa. Così quando le Dolomiti diventano, dopo le Alpi, il “secondo desiderio” della borghesia di Oltremanica, quelli che vi si avvicinano vanno ripetendo il rituale già avviato dall’Ovest, si agitano cioè parecchio nel fare il verso al connazionale Linvingstone che nel frattempo va scoprendo l’Africa. E partecipando in sedicesimo a quel gioco nazionale, infilano gioiosamente le braghe dell’esploratore dando la stura al consueto repertorio narrativo. Rimane cioè prevalente la prospettiva mentale dell’alpigiano visto come mero “fattore ambientale”, valutabile esclusivamente nella sua complementarietà.
E’ comunque consolante che qualche eccezione c’è stata, vedi la posizione di Paul Grohmann. Nel suo “Wanderungen in Dolomiten”, oltre a dare esempio di essenzialità stilistica e di nitido equilibrio valutativo, dichiara: “…Non ho voluto fare un semplice cenno dei dati raccolti, ma ho inteso dar posto anche alla descrizione del paesaggio del colore locale”. Grohmann oltre che uno dei tre fondatori dell’Alpenverein austriaco, è scrupoloso segretario e direttore delle mitiche “Mitteilungen”, collaboratore dello “Zeitschrift”, ma anche di “Les Alpes” di Lavasseur. Sotto il profilo storico e antropologico i suoi scritti sono da considerarsi un irreprensibile punto di partenza della letteratura alpinistica orientale.
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Le riviste storiche delle Alpi Orientali
Nei primi anni di costituzione dei Club alpini austriaci (1862), italiano (1863) e tedesco (1869), la relativa stampa sociale è culturalmente carnosa, anche se talvolta mastodontica o corpulenta. Non per niente alla redazione partecipa il fior fiore delle rispettive intellettualità.
Al suo nascere, il Club Alpino Italiano si appoggia per la comunicazione alla “Rivista delle Alpi, Appennini e Vulcani”, poi nel 1865 esce con il “Bollettino“, prima trimestrale, quindi annuale, cui successivamente affianca la “Rivista Alpina”. Fra i tanti collaborano i vicentini Paolo Lioy (poi presidente generale), Attilio Brunialti, Alessandro Cita, il bellunese Antonio De Manzoni, presidente della prima Sezione veneta, quella di Agordo, il trentino Ottone Brentari, il principe delle guide del Trentino e del Veneto, i friulani Giovanni Marinelli (il massimo geografo italiano dell’800) e Antonio Ferrucci.
Ma astraendo in questa sede dalla stampa centrale del CAI, trattata da altro esimio relatore, la prima pubblicazione sezionale in lingua italiana è dal 1874 l'”Annuario“ SAT. Si tratta di volumi illustrati per lo più dal primo fotografo trentino, Giovanni Battista Unterveger, e da disegni e stampe di autori vari, che fanno da corredo ad impegnativi testi, studi monografici o settoriali, che documentano l’amplitudine poliedrica di quella montagna tridentina che a volte veniva per la prima volta portata a conoscenza del grande pubblico. Né mancano saporosi e partecipativi bozzetti sul vivere quotidiano dell’alpigiano.
Nel 1904 mentre l'”Annuario” prosegue sia pure con periodicità discontinua, gli si affianca il “Bollettino dell’alpinista”, un bimestrale di ampia produttività e sostanza. Però, dopo 11 anni, il “Bollettino” deve chiudere a causa della guerra 1914-18. Riprende stentatamente dal ’21 al ’23, l’anno successivo è assorbito dalla “Gazzetta del Turismo e dello Sport”. Ma è una soluzione zoppa, la rivista non è più esclusivamente satina. Poi con la legge del 31 dic. 1925 sul controllo della stampa, il Regime fascista sopprime anche le pubblicazioni alpinistiche periferiche. Unico organo ufficiale rimane la “Rivista”, ragion per cui il “Bollettino” può essere riproposto soltanto nel 1946. Ma i tempi della pur febbrile ricostruzione sono ancora magrissimi. Per astenia poco dopo si rinuncia. Compare un nuovo periodico “Montagne e uomini”, una rivista generica di cultura tridentina: altro biennio di stenti.
Bisogna attendere il 1954: con il boom economico, finalmente e stabilmente ritorna il glorioso “Bollettino”. Lo dirigono prima Carlo Colò, poi Quirino Bezzi, quindi Franco De Battaglia, ora Marco Benedetti. Attualmente il “Bollettino”, trimestrale di ampia diffusione sul territorio, con la sua forte pregnanza corporizza e stimola l’attualità alpinistica tridentina.
Volendo procedere sull’iter metodologico intrapreso, la seconda rivista in cui ci imbattiamo nasce in Friuli, per opera della SAF (Società Alpina Friulana) fondata nel 1874 e che, sette anni più tardi, dà alle stampe “Cronaca della SAF”, un annuario di cui nell’anno 1881-88 escono sei volumi, che vanno riguardati con particolare attenzione per una loro tipica angolazione redazionale. Le tematiche argomentate, infatti, non sono per lo più di indirizzo alpinistico, quanto di natura scientifica, anche se spesso infiorettate con indubbio gusto letterario. Questa apparente anomalia è in dipendenza della fisionomia orografica del Friuli, che non può competere per spicco ed imponenza con più celebrate catene alpine. Ciò non implica un disvalore né dell’ambiente né degli studi pubblicati. Non per niente Olinto Marinelli parla di “Ampia letteratura alpinistica friulana”. Anzi, a proposito di “Cronaca” si può affermare che, per la prima volta, si può ipotizzare una certa qual sorta di caleidoscopio effettivamente sensoriale del territorio nella sua integrità.
Nel 1890 la SAF a “Cronaca” fa succedere “In Alto“, un bollettino (all’inizio bimestrale) di più svelta divulgazione. Ma anche in questo caso si tratta di una comunicazione a tutto tondo, anzi con ariose finestrature sull’alpinismo europeo e aggiornamenti sulla relativa stampa. Ma non per niente il Friuli è detto “quadrivio d’Europa”!
Come tutte le riviste di lunga storia, anche “In Alto” (distribuito gratuitamente ai soci) conosce eclissi o raggruppamenti di fascicoli per vicende politiche o belliche. Oggi “In Alto” è una moderna ed elegante testata “ammannita” con diligente cura negli ultimi anni da Ciro Cuccitto ed ora da Francesco Micelli dell’Università di Trieste e da Paolo Bizzarro, presidente del CAAI orientale.
Dal Friuli a Trieste, dove nel 1883 di costituisce la Società Alpinisti Triestini, poi dal 1886 Società Alpina delle Giulie. Il Club, dieci anni più tardi, in sostituzione di tre volumi di cronaca sociale “Atti e Memorie“, dà alle stampe “Alpi Giulie“. Sia pure con cadenze varie e salvo i consueti “buchi neri” bellici, la rassegna ora semestrale ha felicemente doppiato il capo del secolo. Un successo parrebbe da dire quasi scontato considerati i rilevanti meriti della SAG in campo alpinistico o speleologico, ma che all’esordio è stato senza dubbio laborioso tenendo presente l’immagine culturale della Trieste asburgica, capoluogo della Provincia del Litorale alle soglie dei 200.000 abitanti, con dieci quotidiani in tre lingue (italiano, sloveno e tedesco) e più die 40 periodici.
Al presente la rivista è distribuita ai soci ordinari e diffusa tra le Sezioni CAI ed i club alpinistici dalla Slovenia all’Olanda, dagli USA al Giappone. Le sue prospettive storico – scientifiche, la soda organicità, senza sbavature accademiche, si abbinano ad una costruzione editoriale e senza orpelli. Dalle sue pagine, da quelle saggistiche a quelle “diaristiche”, la ricchezza dei contributi consente al lettore di scegliere molteplici possibilità di lettura e proficue pause riflessive. Direttore responsabile Mario Privileggi.
Passiamo a Fiume, dove nel 1885, per iniziativa dell’architetto Ferdinando Brodbeck, si è costituito il Club Alpino Fiumano. Nell’89 esce il primo “Annuario” contenente la storia delle “Vicissitudini” del sodalizio. Vicissitudini immaginabili stante la concorrenza del Club dei Turisti di Croazia (sorto dieci anni prima) e difficoltà d’ogni genere. Ciononostante nel 1902 i fiumani hanno la soddisfazione di sbandierare la loro rivista dalla testata alta e sonante “Liburnia“. Un notiziario sul principio smilzo, che poi rinvigorisce con contributi di personaggi qualificati: G. Depoli, G. Sablich, A. Degan. Frequenza regolare fino alla guerra 1914-18. Ricompare nel ’19 e per un decennio prospera fino a quando, prima per merito (si fa per dire) del Regime fascista deve bruscamente chiudere, poi, per la tragedia della seconda guerra mondiale e dell’esodo, la Sezione si trasferisce (“esule in patria”) a Trieste.
Sono vicende dolorosissime, che lasciano nei soci superstiti ferite insanabili e scoramento. Però, nel 1963 “Liburnia” rivede la luce. Inizialmente come numero unico celebrativo, quindi, grazie ad uomini che hanno alle spalle un lungo cammino letterario (per tutti i fratelli Dario e Renzo Donati), la rivista ritesse e consolida il sentimento alpino e civile della città indimenticabile. Un “Liburnia” oggi, dove non si può non fare del nostalgico amarcord, ma dove si guarda anche avanti con vibrante senso di eurosocializzazione. Direttore responsabile Sandro Silvano.
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Le riviste storiche di lingua tedesca
Come abbiamo visto, l’Österreichischer Alpenverein (OAV) ed il Deutscher Alpenverein (DAV) vengono fondati rispettivamente a Vienna nel 1862 e a Monaco nel 1869. Nel ’73 i due clubs si fondono nel DÖAV, ma già dal ’70 gli stretti legami collaborativi li inducono a coeditare un annuario di 300-350 pp., denominato “Zeitschrift“: una collana di volumi di altissimo valore alpinistico e scientifico con scritti e monografie dei più prestigiosi protagonisti dell’evolversi dell’alpinismo mitteleuropeo. Anche con una certa marcia in più: fin dall’inizio vi appaiono scritti di alpiniste (assenti invece nella prima stampa CAI).
Peculiarietà della cultura tedesca è di trovare lievito e alimento all’interno di una sistematica e razionale versatilità. Per questa ragione sarebbe riduttivo estrapolare qualche nome di autore da una bibliografia davvero mastodontica. Anche se sarebbe comodo l’aggancio a certi modelli (Grohmann, Zsigmondy, Lammer). Dati questi presupposti, mi prendo invece l’arbitrio di citare due scrittori oramai dimenticati, ma che, al loro tempo, impressionarono alquanto anche gli alpinisti italiani per la distinzione dei loro contenuti: Julius Meurer, non tanto per la sua serie di guide, ma perché, superando gli approcci culturali della società di allora, nei suoi scritti ignorava le frontiere nazionali (a quel tempo sacre) considerando l’alpinismo come attività al di sopra d’ogni barriera in quanto cosmopolitico. L’altro personaggio è Edmund Graf, uno dei redattori delle “Mitteilungen“, definito “l’alpinista di cuore”, capace di percepire anche le più sottili sensazioni estetiche ed affettive del mondo alpino considerato nella sua interezza.
Ritornando allo “Zeitschrift”, la sua testata è stata da anni sostituita da quella più appropriata di “Jahrbuch” cui ora collaborano scrittori dell’ÖAV e DAV (dal 1945 disgiunti) come pure dell’AVS (Alpenverein Südtirol).
Ma nell’ambito di una storiografia alpinistica comparata il primato di anzianità (addirittura del continente europeo) va assegnato a quel primo numero dalla copertina verde delle “Mittheilungen” che porta la data del 1863. Edita con cadenza varia (mensile, bimestrale, anche quindicinale) ad altissima tiratura, la rivista si è di volta in volta adattata alle vicende belliche e politiche dei club austriaco e tedesco. Dopo la seconda guerra mondiale riprende le pubblicazioni nel 1949 come rivista del DAV. Nel loro inquadramento storico le “Mitteilungen” sono da considerarsi uno strumento metodologico e concettuale di assoluta rilevanza. Attuale direttore è Elmar Landes.
Ha pure largamente superato il secolo (117 anni) la nota “Österreichische Alpenzeitung” fiore all’occhiello dell’Alpenklub di Vienna, che ha contribuito profondamente a suscitare fervore di ricerche e proselitismo. E’ un bianconero bimestrale di esemplare nobiltà grafica e redazionale, che nulla concede ad innovazioni esteriori. Divulgato in fascicoli di un sedicesimo è il succoso contenitore di un bel po’ di alpinismo (negli anni ’30 ospitò anche Rudatis, il “profeta” del sesto grado italiano). Sensibile ai rapporti internazionali “Alpenzeitung” ne recensisce ampiamente la stampa specialistica. Attuale direttore è Hannes Bauer.
Nel 1923 a Monaco appare una rivista di alpinismo e sci “Der Bergsteiger” che nel 1940 si fonde con le “Mitteilungen”. Riprende la vecchia testata nel ’49. Più tardi, esplicitando la propensione verso l’escursionismo, ha abbinato “Das Touren Magazin”: La rassegna edita dalla prestigiosa casa Bruckmann si impegna nell’interrogarsi ed interrogare sulle tendenze e le discrasie che si determinano in funzione di flussi turistici sempre più cospicui e disordinati.
Altro interessante bimestrale è “Berge“, ottimamente redatto da Walter Pause. All’interno dei singoli fascicoli presenta contenuti per buona parte orientati verso particolari tematiche. Sotto questo aspetto la densità dei testi penetra approfonditamente anche nelle pieghe più minute dei paradigmi culturali proposti.
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Le riviste intersezionali
Il 30 marzo 1947 a Vicenza in Contrà S. Marcello, in uno stanzone scalcinato dalla guerra, si tiene il 4° Convegno delle Sezioni trivenete del CAI. E’ l’assemblea che delibera la pubblicazione di una rivista alpinistica coedita dalle 19 Sezioni presenti, perché lo sforzo congiunto di tutti è fondamentale per dare forza alle idee. L’esordio avviene a luglio. La testata “Le Alpi Venete” è stata suggerita da Bepi Mazzotti, l’editorialità (32 pp.) è quella povera ma dignitosa dell’immediato dopoguerra, la frequenza trimestrale (poi semestrale, la tiratura buona per i tempi (4.000 copie). Il primo editoriale (anonimo) è di Antonio Berti, mentre il direttore è il figlio Camillo. L’approccio alla rivista è immediato: le più belle e sonanti firme vi collaborano.
Nella recuperata libertà democratica e nel fervore della ricostruzione del Paese, la rassegna è portavoce sia della continuità ideologica del CAI, sia della molteplicità culturale triveneta, sia ancora di un nuovo modo di sentire l’alpinismo come neoumanesimo sociale. Con una tale ricchezza seminativa LAV non ci mettono molto ad espandersi perché, oltretutto, divengono un punto di riferimento obbligato. Straripante il numero dei collaboratori: in primis Giovanni Angelini con le sue impareggiabili ricerche sui monti della Val di Zoldo, poi confluite nella guida CAI-TCI “Pelmo e Dolomiti di Zoldo”. O le analoghe monografie di Gianni Pieropan entrate pure esse nella collana CAI-TCI. Un migliaio e più gli articoli pubblicati, centinaia e centinaia le recensioni e le relazioni di vie nuove e le aggiornatissime rubriche tecniche. A distanza di 53 anni “Le Alpi Venete” (83 Sezioni editrici, tiratura di 20.000 copie), da sempre dirette (record!) dall’immancabile Camillo Berti, con la loro ricchezza di tematiche sono l’espressione della coralità dell’alpinismo del Nord-Est e di un felice esperimento di convergenze culturali diversificate. Valorizzata per di più da una grafica esemplare.
Il modello messo a punto dal LAV nel 1987 induce le Sezioni Bellunesi (allora 12) a dotarsi di uno strumento analogo onde poter più approfonditamente definire le proprie peculiarità locali. Nascono così a scadenza Semestrale “Le Dolomiti Bellunesi“, dirette da Italo Zandonella, poi fiancheggiato come direttore responsabile da Loris Santomaso. La presentazione del primo numero (a firma Gabriele Arrigoni, Roberto De Martin) dice: “Aprire una nuova rivista è sempre un impegno non indifferente, soprattutto quando si ha la mira di renderla un messaggio, un ponte fra gli ideali che animano chi l’ha voluta ed il mondo esterno”. In apertura del fascicolo il prestigioso nome di Giovanni Angelini, al cui seguito fanno scorta una schiera di storici e studiosi molti dei quali figurano, giovanilmente esuberanti, nello splendido volume celebrativo dell’anno scorso.
Indubbiamente nel panorama nostrano in cui anche i grandi mezzi della comunicazione fanno fatica a mascherare una certa confusione mentale, una così attenta e numerosa rilettura delle proprie radici e della propria alpinologia, le nuove prospettive che si ricercano fanno delle “Dolomiti Bellunesi” il vero sensore della cultura della Provincia “dalla Piave in su”.
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Le riviste sezionali
In genere tutte le Sezioni pubblicano, per uso interno, notiziari e programmi dell’attività sociale. Storicamente, a questo proposito, vanno citati i deliziosi programmi a stampa della Sezione di Schio di fine ‘800.
Non pochi sodalizi invece hanno dato vita a periodici curati da redazioni fisse, di varia corposità e di altrettanta varia scadenza. Ne diamo qui cenno seppur concisamente.
Trentino Alto Adige
Tra i periodici periferici della SAT:
- lo storico “Sosatino” della Sezione Operaia;
- l'”Annuario” della SAT di Riva, giunto alla sua 30ª edizione, che presenta scenari a tutto tondo del mondo alpestre dell’Alto Garda;
- l’oramai ultracinquantennale “Monti Nostri” della Sezione di Levico;
- gli “Annuari” di Molveno e di Arco;
- il “Notiziario” di Civezzano;
- il “Calgeron” del Gruppo Grotte di Selva di Borgo Valsugana dal 1969, ma di periodicità discontinua
CAI Bolzano:
- nel 1922 esce con un suo “Bollettino” mensile abbinato alla “Rivista dell’Alto Adige“, organo ufficiale dell’Enit di Bolzano. Nel 1926 appare il “Bollettino – Notiziario” mensile diretto da Enrico Facchini, ma di assai breve durata. Dal 1968 al ’74 esce un “Annuario“. Nello stesso ’74 Pietro Marangoni firma “Il Pendolo” semestrale di buona impostazione culturale con particolare riguardo nei confronti dei giovani e dell’ecologia. Spentosi nell”82 “Il Pendolo” è a tutt’oggi sostituito da un programma escursioni piuttosto consistente.
- Dall’autunno ’88 il CAI di Brunico stampa “InfoCai” a carattere trimestrale, foglio di comunicazione interna e qualcosa in più.
- AVS Mitteilungen è dal 1984 il trimestrale dell’Alperverein Südtirol. Esce a Bolzano e propone con pittoresca editorialità articoli di varia ambientazione e comunicazioni sezionali.
Veneto
- Verona: la Sezione dal 1899 fino all’ultima guerra esce con un “Bollettino” di 12 pag. di cadenza trimestrale; riprende dal 1946 al 1970 curato da Ezio Etrari.
- Vicenza: dal 1875 al 1878 edita dei “Bollettini” annuali, poi uno biennale, l’ultimo è dell”83. Sono pubblicazioni interessanti per la minuzia delle informazioni e la vivace descrizione delle vicende sezionali. A parte, negli anni ’20, un paio di numeri di una rivista intitolata “Excelsior“, si verifica un’interruzione pluridecennale intervallata da bollettini annuali. Nel Natale 1946 Camillo Berti e Gianni Pieropan danno vita ad un paio di numeri titolati “Piccole Dolomiti“. Nel 1953 escono tre notiziari ciclostilati ed uno a stampa. Nel 1963 rispuntano “Piccole Dolomiti” come periodico prima trimestrale poi annuale con ottima presentazione formale e contenutistica.
- Bassano: tra il 1894 ed il 1896 l’allora Club Alpino Bassanese stampa un “Bollettino” annuale. Nel 1967 esce un numero unico commemorativo dei 75 anni. Dal 1983 esce regolarmente il “Notiziario CAI Bassano del Grappa“, trimestrale di cultura varia diretto da Gianni Celi.
- Asiago: la Sezione Altopiano dei Sette Comuni esce da qualche anno con “Notizie“, un foglio modesto ma ricco di informazioni e curato da una volenterosa redazione.
- Padova: “CAI Padova” è un robusto e denso quadrimestrale diretto da Giorgio Baroni, al cui interno si propaganda e si testimonia la succulenta attività di una delle maggiori Sezione del Nord – est; negli anni ’20 apparve qualche numero di un “Bollettino“.
- Venezia: dal ’92 stampa “1890” (la testata fa riferimento alla data di costituzione della Sezione), diretto dal presidente del momento (Franco Pianon). Ottimamente curata graficamente, la rivista in seguito a cambio redazionale ha assunta nuova veste editoriale, ma rimane sempre orientata verso ricerche storico – alpinistiche e promozione sezionale.
- Mestre: nel 1970 esce un “Notiziario” in bianconero diretto da Primo Baldo; nuova testata nell”81 “Corda doppia – Periodico casuale di discese e risalite“; la direzione è assunta dal presidente di turno (ora Bruno Tubaro); il periodico distintosi per vivaci dibattiti ecologici, è molto curato graficamente ed offre scritti storici e tecnici di buona valenza.
- Mirano: da 8 anni pubblica “El Masegno – Appunti e disappunti del CAI Mirano“, intraprendente semestrale che può contare su una vasta platea di collaboratori. Oltre che mezzo di comunicazione partecipa attentamente alle problematiche dell’alpinismo nazionale. Direttori Andrea Serena e Ugo Scortegagna.
- Treviso: “46° parallelo” è un singolare bollettino giunto al suo 6° numero promosso dal Club sezionale “Croderes” e coordinato da Gasparetto, Mazzariol, Musco. Diffuso semiartigianalmente e dalla commovente tiratura di una sessantina di copie, contiene pregevolissimi articoli di limpida impostazione critica e di elaborata ricerca storica.
- Conegliano: da una quindicina di anni diffonde “Montagna insieme” semestrale di simpatica varietà letteraria cui collaborano soci “storici” (La Grassa – Pizzorni) e la cui cura ora è stata assunta da Gloria Zambon. Quest’anno è andato in stampa anche “Montagna insieme – Ragazzi” dedicato all’alpinismo giovanile.
- Vittorio Veneto: pubblica ormai da 25 anni (1974) il “Notiziario Sociale“. Seguito da Vittorio Serafin si occupa di alpinismo, ma ance di speleologia, attività localmente di forte peso. Particolare: la copertina è disegnata di volta in volta da artisti locali.
- S. Donà di Piave: da qualche anno esce con un notiziario dal titolo “Azimut News“, bianconero promozionale con scritti piuttosto interessanti.
Friuli – Venezia Giulia
- Pordenone: di recente datazione (6 anni) è “Il notiziario” illeggiadrito in testata da un’elegante vignetta. Bianconero decoroso e fresco è diretto da Silvano Zucchiatti e commisura testi esaustivi ad una iconografia sobria, ma sufficientemente corredativa.
- Sacile: raggiunge i due lustri di attività “El torrion“, il combattivo periodico sezionale impegnato nei dibattiti sulle problematiche associative ed ecologiche. Direttore Michelangelo Scarabellotto. Poche pagine ma piene di vita ed effervescenza.
- Maniago: esce con “Notiziario CAI“, un fascicolo che supera il concetto della semplice informazione per approdare a contributi di più ampio respiro.
- Gorizia: da 25 anni esce “Alpinismo Goriziano“, un trimestrale che merita particolare attenzione per la considerevole valenza dei testi proposti. Diretto da Luigi Medeot, emerito gran chef della carta stampata, si avvale di collaboratori che della montagna sono fra gli interpreti più sensibili. Con una editorialità lineare e pulita, un bianconero sapientemente valorizzato, è anche uno strumento letterario di scorrevole piacevolezza.
- Trieste: edito dalla Sezione XXX Ottobre “Alpinismo Triestino” è un bimestrale di elvetica puntualità, che si è rapidamente imposto alla generale considerazione anche in virtù del trascinante impulso impresso da Spiro Dalla Porta Xydias, prestigioso autore di letteratura di montagna, presidente del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, nonché accademico del CAI. Diretto da Roberto Fonda, “Alpinismo Triestino” spazia ariosamente sulla straripante attività di una Sezione alpinisticamente ai massimi livelli.
Conclusione
La storia delle riviste di alpinismo si forma e si trasforma con la storia della società che le genera? In alcuni casi corre parallela, in altri purtroppo si standardizza, in altri ancora riesce a dire una parola che ha un significato forte.
Nessuna attività sportiva o di svago o ad essa assimilabile è stata ed è così documentata come l’alpinismo, anche se i periodici che ad esso si ispirano hanno per lo più coperture finanziarie minime e si basano sul più commovente dei volontariati. Comunque definiscono sempre l’immagine di chi li edita, ne amplificano la forza, ne qualificano e storicizzano il vissuto. Costruiscono nel linguaggio. Nella loro accezione più viva si mettono in discussione nel gioco delle idee, visualizzano nitidamente paesaggi alpini alpestri e alpigiani molto variegati, propongono codici etici e percorsi aggregativi. O avvicinano quelli degli altri.
Tutto ciò anche se viviamo in un bailamme di aride, affannate banalizzazioni.